Il finale di 13 Reasons Why inizia con un avvertimento: “Nel seguente episodio sono presenti scene che alcuni telespettatori potrebbero trovare fastidiose e/o non indicate ad un pubblico giovane, tra cui rappresentazioni grafiche di violenza e suicidio. I telespettatori sono avvertiti.”
Più o meno a metà dell’episodio, diventa chiaro il motivo dell’avviso. Hannah (Katherine Langford) si dirige verso il bagno, apre l’acqua nella vasca, si taglia le vene con una lametta, e si lascia morire dissanguata prima di essere trovata dai suoi genitori devastati.
Brian Yorkey, sceneggiatore e creatore della serie, ha ribadito il contenuto di Beyond the Reasons, uno speciale di mezz’ora disponibile anche su Netflix che unisce alcune interviste al cast e alla crew con altre ai professionisti di salute mentale riguardanti l’approccio della serie ad argomenti come il suicidio, la molestia sessuale e il bullismo. “Abbiamo lavorato duramente per non mostrare scene di violenza gratuita, ma volevamo che risultasse doloroso, proprio perché volevamo che fosse chiaro che niente, in nessun modo, vale il suicidio,” ha riferito Yorkey.
Ma rappresentare un suicidio — non importa quanto graficamente — crea una serie di pericoli. Gli studi hanno mostrato che l’esposizione ad immagini relative a suicidi può influenzare negativamente chi già presenta fattori a rischio di suicidio (tra cui la depressione e l’abuso di sostanze stupefacenti). Nel suo Recommendations for Reporting on Suicide, la Fondazione Americana per la Prevenzione del Suicidio riferisce che “Il rischio di suicidio aumenta quando la storia descrive in maniera esplicita il metodo di suicidio, usa notizie drammatiche o immagini graficamente crude, che sensazionalizzano o rendono la morte affascinante.”
Allora come dovrebbero bilanciare l’argomento gli show televisivi, per portarlo alla luce, visto che è un fatto comune ma non molto discusso?
“Si può rappresentare un personaggio in difficoltà, alle prese con problemi di salute mentale o preoccupazioni generali, siano essi derivati da bulli o altri fattori stressanti, e si potrebbe mostrare che pensa al suicidio, o addirittura sta per metterlo in atto, quando poi, invece, lavora sulle sue paure. ‘E’ giusto parlare?’” chiede la dottoressa Christine Moutier, direttrice sanitaria dell’American Foundation of Suicide Prevention. “Con quale persona fidata posso parlare? Posso ancora accettare di essere la stessa persona vivace, se devo ricevere delle cure per esserlo?”
“E se iniziano a pensare che le cure per le malattie mentali sono normalissime cure, momentanee,” continua, “è questo il modo giusto per causare un effetto preventivo sul telespettatore e sulla comunità, invece di mostrare la persona a terra, intenta a togliersi la vita — ribadisco: le rappresentazioni grafiche possono condurre al contagio.”
“Crediamo fermamente che il problema del suicidio sia importante e debba essere trattato,” dice la Moutier, che non ha visto la serie. “Dunque non tutte le rappresentazioni sono negative — dipende dal modo in cui viene fatto e con la presenza di messaggi per la prevenzione e messaggi di speranza, qualcosa che possa ispirare a lavorare sulle proprie difficoltà, quando si è in una crisi o ci si sente di voler lasciare la vita.”
In 13 Reasons Why, Hannah muore, ma la serie è tormentata da molte altre storie parallele altrettanto inquietanti. Il motivo è di mostrare che l’aiuto c’è, ed è vicino a voi.
“Chiedi aiuto,” dice la Langford in Beyond the Reasons. “Anche se, come Hannah, senti di non riuscire a parlare con i tuoi genitori o non vuoi parlarne con nessuno a scuola per via dell’imbarazzo; chiama una linea amica. Parla con qualcuno in maniera anonima. Ma parla con qualcuno. Perché nel momento in cui inizi a parlarne, diventa più facile. Pensa che c’è una vita all’infuori di ciò che stai pensando ora. Giuro che le cose andranno meglio. C’è tutto un futuro pieno di cose incredibili che ti aspetta. E se ti arrendi, non le vedrai mai.”